domenica 25 novembre 2012


Grazie al blog di Elena Bordignon ho avuto il delizioso piacere di leggere le motivazioni che hanno portato i giurati del Furla 2013 (già il sito è così vecchio, tanto da essere in Flash, senza poter linkare le pagine, che...) alle rispettive selezioni di artisti e lavori per questa edizione del premio. Certo, possa vincere il migliore, in un contesto dove nessuno è perfino cosciente del concetto di “peggiore”. Però non sono riuscito a ritirarmi da un tema a me caro, come la morte della critica e della scrittura d'arte. Perciò mi sono divertito – e conto sul piacere alla satira del mio lettore – a spulciare le motivazioni di ogni giurato, tenendo conto del rispetto che ho degli artisti, di cui, ahimé, non conosco il lavoro se non superficialmente, ma non di quello che ho per ciò che scrivono i giurati stessi, cosa ben più importante della personalità di questi ultimi, come della mia.


ILARIA GIANNI vota TOMASO DE LUCA

[cito:]

Partendo dallo studio di frammenti provenienti dalla storia,

[ci siamo, eccola la storia, la storia; è lei, nella benedetta e officiante versione warburghiana, l'archivio!]

il lavoro di Tomaso De Luca (Verona, 1988) innesca una nuova analisi del vocabolario storiografico consueto.

[mmm... già su “vocabolario storiografico” mi perdo un attimo. Forse la giurata vuole sottintendere i sussidiari? I libri di storia delle superiori che ci danno una visione materialistica della storia? Il vocabolario è un ordine dato alle parole, al linguaggio, nel cortocircuito significato-significante – per farla breve – ma storiografico non è come dire storico, per cui la locuzione significa che l'artista lavora sull'ordine del linguaggio corrente sul discorso sulla storia. Mmm... Consueto. Tutti mastichiamo storia e storiografia a colazione, per cui è consueto. Sì, lo storico di professione si colpisce la larga fronte, con stupore. Dai, diciamoci la verità, mastichiamo un po' di cinema di Rosi e Petri, Eastwood e Scorsese, condiamo con un po' di Wu Ming epico e abbiamo l'analisi del vocabolario storiografico, consueto.]

L’artista, abbandonando un sistema di pensiero verticale

[cioè com'è? Rizomatico? Anti-piramidale? Inserire a piacere filosofo francese morto.]

si appropria di una temporalità e di una spazialità codificata, restituendola sotto nuove vesti.

[Le nuove vesti dell'imperatore sono già nell'armadio. Tempo e spazio, ma che è questo artista? Kant?]

Attraverso i suoi soggetti che ruotano intorno al senso del corpo, della storia, del paesaggio e dello spazio, [l'arte vediamo di non considerarla neppure] l’artista elabora le sue considerazioni sull’idea di monumento.

[Finalmente un concetto “artistico”, quello di “monumento”. Ma in che senso, cara giurata, in che senso?]

Mettendo in discussione il suo ruolo e la sua posizione [di italiano?], De Luca decostruisce così l’emblema della memoria storica per eccellenza.

[Decostruire è un verbo che mi piace molto. Lo uso spesso, specialmente quando “fare” mi pare troppo banale. Cioè l'artista decostruisce il linguaggio attraverso cui la memoria storica si fa monumento?]

Il simbolo saldamente ancorato a un tempo e a una rappresentazione acquista nell’opera dell’artista una mobilità;

[Ok, questo passaggio è chiaro e si riassume in: DÉTOURNEMENT]

il paesaggio si avvia verso una trasformazione e la storia trova una possibilità di fuga dalla sua immobilità.

[Vabbé, tipica conclusione scivolante: l'immobilità (o la consuetudine?) del significato del simbolo storico viene trasformata, attraverso un détournement, in qualcosa di mobile, nel tempo e nello spazio, coinvolgendo il corpo, lo spazio, il tempo, il paesaggio e i corn flakes.]



STEFANO COLLICELLI CAGOL vota CHIARA FUMAI

[cito:]

Chiara Fumai celebra l’ambiguità e l’indeterminatezza della condizione umana [bene], tesa tra contraddizioni e passioni violente [ok, ci siamo, si sta come d'inverno sugli alberi le foglie]. Le sue performance e installazioni [almeno qui sappiamo che l'artista lavora con performance e installazioni] creano scenari stranianti che si delineano attraverso la riflessione su scritti di dissenso politico, questioni di identità sessuale, femminismo anarchico, fenomeni paranormali e molto altro [fino alla terz'ultima parola, tutto ci può stare, mi piace; ma il “molto altro” sa di promozione dei Miracle Blade: che fanno questi lavori, affettano gli scarponi e i salmoni surgelati pure?]. In questi ambienti, Fumai dialoga, declama, urla mettendo le sue molteplici personalità al servizio di persone vissute nel passato (per esempio Annie Jones, la donna barbuta; il mago Houdini; Rosa Luxemburg) [mmm... mi sfugge il concetto di “al servizio di persone vissute nel passato”, ma mi puzza di artista che si è talmente allontanata dal proprio ruolo – cioè consegnare immagini, alla faccia di sé – che è ricaduta nelle biografie altrui] che vengono evocate nel corpo dell’artista e interagiscono con gli spettatori [bene, il Cosplay trova la sua dimensione artistica. Notate ari-bene che siamo anni luce lontani da Roberto Cuoghi, ma proprio lontani lontani, su Plutone, tipo]. Più che proporre certezze solide e confortanti [ecco il jargon, l'artista mica ti dà certezze, eeeehhh], Fumai spiazza di continuo il suo pubblico, invitandolo ad ampliare il proprio immaginario e con esso la propria conoscenza.

[Vabbé compitino, la scrittura non è male, ma chissà perché poi è stata scelta questa artista...]


FILIPA RAMOS vota INVERNOMUTO

[cito:]

Invernomuto è una coppia di artisti formata da Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi, che dal 2003 collaborano e lavorano insieme [bene, dati, fatti]. Il loro lavoro si basa sulla pratica della ricerca complessa e costante, che si articola intorno alla circolazione e alla trasmissione di quelle forme, idee e contenuti che animano gli immaginari trans-culturali contemporanei.


[OMG: la ricerca complessa e costante... of what? Bene, è una ricerca che – fortunatamente complessa e costante, se no che ci stavano a fare al Premio Furla – guarda ai segni dell'immaginario trans-culturale contemporaneo – immagino extra-occidentale – e li, tipo... manipola? Diccelo giurata, diccelo che gli artisti manipolano dei segni, o ti pare che il verbo “manipolare” faccia troppo Post-production? Beh, c'è chi manipola la storia, chi l'immaginario trans-culturale: a ognuno il suo lavoro di mano.]

Tale interesse per i processi e le condizioni di trasmutazione della cultura li conduce a dare particolare attenzione al dialetto e alle manifestazioni popolari, intrecciando alcuni dei loro aspetti con elementi folcloristici, metropolitani e subculturali.

[Ah, questo mi sembra interessante, un Mondo Cane. Senza ironia, dico.]

Questi vengono elaborati grazie alla combinazione di grafica, musica, suono e immagini, come elementi che diventano un unico insieme nell’opera che essi producono, e che assumono diverse configurazioni, come installazioni video, performance, eventi mediatici dal vivo o progetti editoriali.

[Va bene, va bene, nulla da recriminare su DJ visuali e sonori. Anche qui non ravviso eccessivo stupro della lingua italiana.]


FRANCESCO GARUTTI vota DAVIDE STUCCHI

[cito:]

Al centro dell’opera di Davide Stucchi c’è uno dei temi chiave del nostro tempo: il rapporto tra presentazione e rappresentazione, tra strategia di comunicazione e seduzione.

[Ahi ahi, qui il giurato ci va giù pesante, come se fosse nato nei 70 e avesse cominciato a lavorare nei 90. Siamo nel 2012? Errore mio. Dunque... non so neanche da dove cominciare, tanta è la superbia del giurato. Tanto valeva parlare di pornografia, che con presentazione e rappresentazione, strategia di comunicazione e seduzione ci va a cena ogni sera. Comunque il giurato si è fatto una sbronza di Baudrillard prima di scrivere.]

Esplorando le logiche di produzione e allestimento del sistema della moda,

[Ricapitoliamo, prima la storia – o il vocabolario storiografico –, poi la biografia del passato, poi l'immaginario trans-culturale, ora la moda. Tipo un discorso sull'arte mai, neh?]

indagando le tecnologie di costruzione, editing e ripresa fotografica,

[bene, l'artista ne capisce di fotografia, immediatamente uno stage presso Terry Richardson!]

Stucchi presenta agli occhi dello spettatore una riflessione sottile sul mondo della composizione delle immagini e il loro commercio nel contesto dell’arte e non solo.

[Aha, vediamo dove si va a parare]

L’artista studia le metodologie di rappresentazione dell’opera – si appassiona a McCracken, alle fotografie di Medardo Rosso e Man Ray così come alle strategie dell’e-commerce – per decostruire l’idea stessa di display.

[Grande, il primo giurato che cita dei riferimenti dell'artista, anche se io insisterei su Terry Richardson! Seriamente, forse l'artista dovrebbe conoscere anche le foto di Brancusi, che mi paiono leggermente più interessanti rispetto a Rosso, ma è ok, siamo negli anni 90, il trionfo della postmodernità, e mettere insieme McCracken, Rossi e Ray va pur bene così. Non siamo nei 90? Pazienza, vorra dire che si manipola il vocabolario storiografico consueto. Invece vorrei saperne di più sull'e-commerce, che significa? Ebay, Craigslist, le videocam di Redtube? Sono serio, non capisco cosa c'entri il display – la mostra?]

I meccanismi classici di presentazione di un oggetto/prodotto sono stravolti

[No, stravolti no, ti prego, dì che è una manipolazione, un détournement, così stiamo tutti più tranquilli! E consueti.]

nel lavoro di Stucchi: si trasformano in una coreografia di gesti e movimenti in cui il punto di vista è spesso indecifrabile – nascosto o forse moltiplicato – e scultura e fotografia dialogano in modo inatteso e ambiguo.

[Qui mi sa che il giurato non è vago e ha qualche lavoro dell'artista bene a mente, però tralascerei gli aggettivi “inatteso” e “ambiguo” per “pluf” e “halakazam”]

L’opera è un’immagine della quale è difficile rintracciare l’origine e la materia, un frame in cui primo piano e background si confondono.

[Un profondo inchino e grazie ai Costruttivisti russi per averci insegnato qualcosa su materia e superficie. Evviva il sipario!]


VINCENZO LATRONICO E FANNY GONELLA votano DIEGO TONUS

[cito:]

Come un ipnotista [io ho sempre sentito dire ipnotizzatore, ma forse è un mio difetto di letture o, forse, è una licenza poetica o, forse, ma chi se ne frega] che s’interrompe a metà dell’atto,

[Ah, finalmente un po' di letteratura, che non guasta, e l'ipnotista-ipnotizzatore è sempre un po' come l'equilbrista-equilibrantatore; inoltre il primo ha il vantaggio di utilizzare gli occhi, i quali, se ancora nessuno se ne fosse accorto, hanno a che vedere con la visione, i linguaggi visivi, eccetera, ci siamo capiti.]

Diego Tonus usa varie tecniche – principalmente film e performance per manipolare [manipolare! MANIPOLARE! godo] la percezione del pubblico di un processo sociale o culturale, svelando una struttura di autorità.

[Allora, prima abbiamo l'artista contro il “pensiero verticale”, ora quello che svela la “struttura di autorità”. Non è che abbiamo letto solo, di sfuggita, il retro-copertina di “Sorvegliare e punire”?]

Che lavori col video (che col montaggio permette di ri-raccontare, alterandola o stravolgendola, un’esperienza individuale), con la voce (che conosce precise tecniche di tono e modulazione per influenzare la reazione inconscia di chi la sente), o con il testo giornalistico (che dichiara verificato – quindi “vero”? – ciò che narra),

[sì sì, l'artista si beve Foucault a colazione: tipo il cafféfoucault o il foucaultlatte. In effetti nessun artista di questo Furla, ancora, contro l'informazione c'era stato, ma anche qui la CB memoria mi fa rabbrividire.]

la ricerca di Diego Tonus analizza l’equilibrio fra le modalità del racconto e il suo contenuto, mostrando o lasciando intuire in quanta misura esse siano innanzitutto strumenti di potere e di manipolazione [MANIPOLAZIONE! MANIPOLAZIONE!]: sia sul pubblico che sul proprio oggetto.

[Insomma, l'arte lascia ambiguo il suo messaggio, attraverso la manipolazione e il détorunement, e spiazza sia il pubblico che l'oggetto stesso dell'opera. Super stupore.]

***

Ora, il motivo per cui perdo tempo a leggere queste motivazioni e a ironizzarne su non è dovuto ad abbondanza di tempo o spazio [Kant!] e neppure a un odio o rancore o revanscismo o conflitto di religione verso i personaggi nominati.

Primo: appena lette tali motivazioni, ho avuto un impulso serriano di farne satira, non perché mi senta affine a Serra per arguzia, ma semplicemente per indignazione verso l'uso improprio di un linguaggio lieve e importante, quale È la scrittura d'arte. E, ripeto, non offendo le persone, quanto il loro scrivere e la rispettiva pochezza estetica.

Secondo: nessuno/a dei/lle giurati/e parla di arte. Rileggeteli/e, per me è straordinario: nessuno parla di arte. Tutti parlano del contenuto: jargon, jargon e ancora jargon; non ho voglia di scriverne o commentarne, di nuovo. Ma, sì, non c'è nessuno che mi dica, a me lettore, perché, dal punto di vista dell'arte, il tale artista sia così meritevole.

Ci pensate o no? Volete dei temi dall'arte? Leggete libri o, soprattutto, leggete veramente la storia inconsueta in cui non avete mai messo dito o occhio. Leggete Bakhtin, leggete Bloch, leggete Zizek, non dico Lukács, leggete quei due o tre capisaldi della cultura contemporanea, che finiscano in -da, -ze, -lt, -an, -rd, -en, -ek, - ky, etc. Però l'arte non sta lì.

Nessuno che mi parli di forme e delle sue strutture, di stupore della visione, di declino o di declivio. Nessuno che abbia il coraggio di parlare di grandezza: Questo artista è un Grande! Nessuno... e io ne avrei, tipo due o tre, e qui, ora, no, non mi parrebbe giusto farne il nome...